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Una volontaria in Africa

La mia esperienza di Volontaria al Cheetah Conservation Fund, Namibia

di savethecheetah

CHEETAH CONSERVATION FUND, OTJIWARONGO, NAMIBIA -Marzo 2009

La mia esperienza come volontaria presso il CCF in marzo, mi ha fatto conoscere la dr. Laurie Marker, fondatrice e direttrice del Centro.Per diciassette giorni ho vissuto un’esperienza magnifica, lavorando a stretto contatto con il personale fisso, circa 15 persone, e altri volontari che vengono da tutte le parti del mondo…Australia, Sudafrica, Stati Uniti, Europa, Iran, ed io, da sola, dall’Italia. Avevo qualche incertezza quando mi sono avventurata da sola in Namibia, senza essere mai stata in Africa prima. Ho letto molto, studiato molto, e non mi spaventava l’idea di trovarmi in un altro continente….faccio l’interprete dal 1973, e me la so cavare bene da sola, ma mi chiedevo, a volte, se non sarei stata delusa dal Centro, se cio’ che la carta mi diceva corrispondeva veramente nei fatti.Avevo infatti scelto il CCF sulla carta, dopo avere navigato molto su Internet, alla ricerca di un’esperienza vera, e non solo puramente turistica.

Dopo nove splendidi giorni con un tour durante la splendida stagione della fine delle piogge, sono arrivata al Cheetah Conservation Fund.

La realtà è stata una rivelazione: dal primo giorno, dai primi minuti, sono stata accolta come un’amica, come una del gruppo, e tutti si sono presentati con tanta gentilezza e tranquillità. Il lavoro è organizzato direttamente dalla dr. Marker, Laurie, che dal primo all’ultimo giorno è stata con noi, mattina, mezzogiorno e sera.

Ogni sera ci viene comunicato il programma del giorno dopo: a piccoli gruppi, sempre con la supervisione di un membro del personale, veniamo informati del nostro compito: censimento degli animali della riserva, inserimento dei dati sul computer, alimentazione dei ghepardi della riserva (che avventura!), accoglienza dei turisti presso il Centro, assistenza alla Clinica durante le operazioni di campionatura dei ghepardi addormentati (che verranno rilasciati di lì a poco), addestramento dei pastori dell’Anatolia, di  quelli addestrati a sniffare le feci, assistenza durante le corse dei ghepardi in presenza dei funzionari del governo, dei turisti o degli allevatori….ogni giorno, in assoluta tranquillità, impariamo a riconoscere, valutare, comprendere le realtà dell’attività del Cheetah Conservation Fund.

Alla sera, dopo un’oretta di cena in relax,- è buio pesto alle 20!-  si ritorna in Aula: i volontari, studenti e altri ospiti, ci presentano i risultati delle loro ricerche: abbiamo assistito alla presentazione dei funzionari iraniani sulla situazione in Iran (pochi ghepardi in difficoltà, di qui la decisione del governo iraniano di collaborare con il CCF per sapere quali interventi attuare per salvare i pochi esemplari in vita), abbiamo ascoltato gli studenti dell’Università della Florida che hanno effettuato studi sulle popolazioni namibiane, sui roditori, su alcune specie dell’ecosistema; abbiamo ascoltato la relazione dell’addestratrice di cani addestrati a trovare le feci dei ghepardi con il solo ausilio dell’olfatto; queste e tante altri azioni caratterizzano il programma del CCF, che coinvolge al 100% i suoi volontari, che non solo vivono un’esperienza totalmente integrati nel gruppo, siano essi biologi, genetisti o veterinari; oltre a imparare sul campo, i volontari si sentono parte attiva del gruppo, e utili come tali al progetto del CCF.

Ma che cosa si propone il Cheetah Conservation Fund?

Il programma della dr. Laurie Marker si propone fini molteplici: in primo luogo, la tutela del ghepardo, e il suo reinserimento pieno dell’ecosistema della Namibia e di tutti quei territori che gli sono congeniali (in Kenya. Marocco, Algeria, Iran ecc.); oltre a cio’ pero’, il CCF desidera restituire al territorio la sua funzione primaria che è quella di un ecosistema in cui prede e predatori, uomini e animali, animali e vegetali servono l’uno all’altro, e ricreano il loro equilibrio nell’assoluto rispetto della natura e dell’habitat: a tal fine, gli allevatori di capre e pecore, che per molti anni hanno ucciso i ghepardi per paura che assalissero i loro greggi, e che nei loro allevamenti vedono la loro sussistenza primaria, vengono sensibilizzati al problema con un sistema semplice e geniale al tempo stesso: l’introduzione dei Pastori dell’Anatolia, una razza originaria di cane pastore della Turchia, che fatto crescere a stretto contatto con il gregge, sviluppa un attaccamento profondo a quest’ultimo, e date le sue dimensioni, protegge il gregge con ferocia, scacciando tutti gli eventuali predatori. In tal modo, il ghepardo si trova nell’impossibilità di aggredire il gregge e rinuncia agli attacchi. I cani vengono allevati presso il Centro e regalati agli allevatori, seguiti da vicino nel primo anno di vita, vaccinando i cuccioli e amministrando consigli e consulenza con visite regolari fino al completo sviluppo del cane pastore.

Altro problema: i rovi. La savana oggi ha la tendenza a svilupparsi e ad invadere il territorio, creando cosi’ un circolo vizioso: pochi animali non sono in grado di impedire l’invasione, e l’invasione impedisce a sua volta agli animali di penetrare in tutto il territorio della Riserva per l’invadenza dei rovi, che proliferano a dismisura. La risposta geniale della dr. Marker è stata il Bushblok. Con pochi addetti e una struttura semplicisssima, i rovi vengono tagliati e ridotti in tronchetti ad alto valore calorico, che vengono venduti nel Paese ed all’estero come legna da ardere e per grill. In questo modo, la popolazione indigena ha un lavoro stabile, e il ricavato della vendita dei tronchettti serve a finanziare la ricerca del Centro.

Il turismo: il turismo eco-sostenibile nel rispetto della natura è un altro elemento di grande importanza. Purtroppo il Centro dispone solo delle infrastrutture per ospitare il personale fisso e i volontari, ma non gli eventuali ospiti. La Guest House del Centro dispone infatti solo di due camere e non ha strutture alberghiere, sarebbe infatti impossibile seguire gli ospiti. Qui al Centro si fa ricerca genetica, si fa scienza, e non turismo. Ma i turisti servono, eccome! Se sensibilizzati, possono dare un contributo validissimo, e se diventano “sponsor”, possono contribuire a far si’ che il paese, la regione, e l’Africa nel suo insieme riesca a ritornare ad essere quel Paese meraviglioso che tanto ha attratto ricercatori e scienziati nel passato.

Sono andata in Namibia con qualche dubbio e tanta curiosità. E sono tornata con la certezza che è necessario fare il lavoro di tutela, in tutti i modi, con passione, serietà, competenza. Tutti possono dare il proprio contributo, e i risultati si vedono…Shanti e Tisha, le due “girls” selvagge e tremende, danno del filo da torcere a James Logan, che a soli 24 anni è nella Riserva del Namib Rand a curare e seguire il loro acclimatamento in natura…è dura, dice James, ma che soddisfazioni!

Continuiamo a sentirci tutti. Su mail, Skype, Facebook, le notizie volano e si diffondono, ma tutti, tutti indiscriminatamente,….vogliamo tornare al CCF. Tutti abbiamo ormai il mal d’Africa per i ghepardi…..

Betty, maggio 2009



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