Articoli recenti

Relazione attività del CCF – 2012

Relazione annuale di attività – 2012

Dr. Laurie Marker

Executive Director

Cheetah Conservation Fund

P.O.Box 1755

Otjiwarongo

Phone:067 306225

Fax:067 306247

Email:cheetah@iway.na

Anche se il Cheetah Conservation Fund offre un rifugio a 46 ghepardi in cattività, la nostra organizzazione lavora per la conservazione dei ghepardi in libertà. Detto questo, quando un ghepardo resta orfano prematuramente, spesso non esistono alternative alla cattività. Questi ghepardi non sarebbero in grado di badare a se stessi e di imparare le abilità necessarie ad un ghepardo selvatico per sopravvivere. Tuttavia, alcuni ghepardi del CCF hanno avuto modo di vivere liberi, in modo tale da potere, un giorno, ritornare in libertà.

La ricerca per il rilascio dei ghepardi in libertà è iniziata nel 2004, puntando sulla massimizzazione delle loro potenzialità, e da allora abbiamo reintrodotto con successo un certo numero di ghepardi grazie a questo programma. Il rilascio di 5 ghepardi del CCF e di due femmine, rispettivamente nel 2008 e nel 2009, rilasciati nella Riserva Naturale del NamibRand, ha visto liberare in natura ghepardi in un’aerea dove da 60 anni i ghepardi erano completamente assenti. Una femmina e tre maschi, rilasciati nella Erindi Game Reserve rispettivamente nel gennaio 2011 e lo scorso anno, stanno bene, e si sono ambientati nella zona. Nel Centro, noi continuiamo ad applicare le nostre strategie di preparazione, e attualmente abbiamo una femmina che attende di essere collocata in un territorio adatto alla sua liberazione in natura.

Parallelamente ai nostri corsi di formazione internazionali, la nostra ricerca per la reintroduzione in natura costituisce la chiave di volta per la conservazione dei ghepardi selvatici, in quanto è in grado di dare assistenza a quei paesi in cui le popolazioni di ghepardi stanno decrescendo, se non sono del tutto scomparse. Quest’anno, sono stata invitata a partecipare ad una rapida indagine sul campo in Uzbekistan, dove il ghepardo è stato dichiarato estinto fin dagli anni ’70, e dove attualmente si ritiene possa essere reintrodotto.

Altrove, il nostro lavoro a livello internazionale nei paesi con terrotori di ghepardi è continuato, concretizzandosi nella nostra presenza durante le riunioni del West, North and Central African Cheetah and Wild Dog Strategic Planning, nelle riunioni del Niger National Cheetah Planning, e nella visita alla Born Free Foundation in Etiopia, dove sono state discusse le strategie per il ghepardo, compresa la questione preoccupante del traffico illecito di flora e fauna selvatica. Questa visita ci ha offerto un’ottima opportunità di ritrovare la nostra collaboratrice di un progetto sul campo, Mary Wykstra, Direttore di Action for Cheetahs in Kenya.

La Fattoria Modello del CCF (Model Farm) ha visto tante nascite di Pastori dell’Anatolia, Kangal e caprette in questo periodo, compresa la prima cucciolata di Kangal che diventeranno i nostri alleati nello sforzo di prevenzione dei conflitti con i predatori che i farmer devono affrontare. Oltre ai nostri cani da guardia Kangal, gli sforzi del CCF per creare fonti di reddito per la popolazione della Namibia hanno visto la seconda vendemmia di uva che potrebbe concretizzarsi in una nuova industria per la Namibia. Abbiamo avuto anche la fortuna di poterci avvalere dell’assistenza di un gruppo di professori della Cornell University che hanno lavorato con noi sulla progettazione del caseificio di latte di capra e sulla nutrizione a base di capra.

La costruzione del Caseificio di prodotti caprini è stata quasi ultimata (inaugurata ai primi di marzo). Si tratta di un eccellente esempio di quanto il modello di lavoro di conservazione, basato sullla collaborazione in seno alla comunità possa fornire agli allevatori rurali ed emarginati migliori opportunità di crescita economica.

L’équipe della Cornell si è unita a noi anche durante una riunione del GWC (Greater Waterberg Complex), un gruppo di guardiani, manager e proprietari che condividono la visione comune di una gestione e di uno sviluppo a lungo termine dell’aerea che copre circa 1 milione e 770mila ettari che circondano il Parco dell’Altopiano del Waterberg e che include i territori comunali dell’est e il CCF. Abbiamo condotto, nel mese di dicembre scorso, un’indagine di valutazione del fabbisogno di quest’aerea, e stiamo preparando una poderosa relazione da presentare alla NamPlace, il programma dell’UNDP (United Nations Development Program) che sostiene il GWC.

Questo genere di collaborazione è importante, e nello scorso giugno, l’iniziativa di istruzione e ricerca cooperativa si è concretizzata nella sottoscrizione di una Memoria d’Intesa tra il CCF, il Museo Nazionale di Namibia, la State University of New York College of Environmental Science and Forestry (USA), e gli Istituti Jacob Blaustein for Desert Research, Università Ben Gurion del Negev (Israele). Il CCF collaborerà con questi partner per sviluppare la cooperazione nell’ambito dell’istruzione ambientale e di ricerca degli ecosistemi desertici.

Noi, da parte nostra, abbiamo continuato a lavorare sul miglioramento del nostro progetto del CCF, il Bushblok, assumendo un laureando in ingegneria che vigila sull’ottimizzazione della produzione casearia e della salute e della sicurezza sul lavoro. Far fronte alla domanda costituisce ancora una grande sfida. Inoltre, una borsa di studio recente ci permetterà l’acquisto e la sperimentazione di nuovi macchinari per la raccolta dei rovi invasivi. La biomassa è stata discussa durante svariate conferenze a cui abbiamo partecipato quest’anno, compresa la riunione invernale della Clinton Global Initiative, laddove il dr. Bruce Brewer ed io ci siamo impegnati ad ampliare la biomassa di rovi invasivi per renderla fonte di energia che sia in grado di restaurare milioni di acri di terra soffocata dai rovi in terra produttiva, sia come terra agricola che terra per l’habitat naturale – creando i posti di lavoro cosi’ necessari.

La flora e la fauna africane attrirano in Namibia milioni di visitatori ogni anno, e la Namibia possiede alcune popolazioni di flora e fauna selvatiche tra le piu’ sane del Continente. Il Namibian Tourist Board si è attivato molto in questo senso per promuovere il turismo in Namibia, e mi ha invitata a partecipare a svariate mostre ed eventi sul turismo. Noi abbiamo inserito tali eventi durante il mio giro primaverile di raccolta fondi.

I miei tour primaverili ed autunnali hanno compreso tre nazioni, 18 stati e 35 città. Anche se mi obbligano a lasciare la Namibia per lungo tempo, essi mi offrono l’opportunità unica di incontrare i sostenitori vecchi e nuovi, e di raccogliere i fondi che sono cosi’ necessari. Quest’anno, ho avuto il privilegio di tenere, per la prima volta, una lezione alla Purdue University, e di intervenire al Dartmouth College nell’ambito della serie di lezioni della George Link Jr. Environmental Lecture Series, indette dall’Environmental Studies Program. Ho anche tenuto una conferenza, per la prima volta, presso l’Università di Ottawa (Canada), e ho avuto il privilegio di incontrare i parlamentari canadesi della Città di Ottawa. Subito dopo, ho tenuto una conferenza presso l’Intergruppo per il Benessere e la Conservazione Animale del Parlamento Europeo a Strasburgo. Dire grazie non è sufficiente per esprimere l’importanza dell’intenso lavoro fatto dal personale del CCF e dai vari sostenitori e associati che hanno resi possibili i miei incontri.

Il 2013 non sarà diverso dal 2012, tranne che per la crescente sensazione di urgenza. Il ghepardo non ha molto tempo, senza il vostro aiuto – il vostro e il nostro. Il tempo sta per scadere, se vogliamo essere certi che questo magnifico animale continui a vivere ed a prosperare….o scomparirà per sempre. Dobbiamo continuare ad operare senza sosta in Namibia e nel mondo. Sappiamo che abbiamo programmi che funzionano; abbiamo la prova di collaborazioni proficue con attori che hanno fatto del bene al ghepardo in Namibia. Infatti, una commissione della National Geographic Big Cat initative (BCI) ci ha visitato in luglio e ha concluso che l’approccio integrato del CCF alla flora e alla fauna selvatiche, al bestiame ed alla gestione dei territori costituisce un area di enorme importanza dove il CCF puo’ dare un contributo fattivo per il futuro del ghepardo e del resto dell’habitat naturale.

Tutto cio’ di cui abbiamo bisogno, è di ampliare i nostri programmi in Namibia ed in altri paesi, e non possiamo farlo da soli.

Per tutto cio’, vi ringrazio di cuore.

Laurie Marker, Dphil.

Founder and Executive Director

 


Asiatic Cheetahs: On the Road to Extinction?

Asiatic Cheetahs: On the Road to Extinction?.


Asiatic Cheetahs: On the Road to Extinction?

 

3
    Share
print

Asiatic cheetahs: on the road to extinction?

By: Erica Santana
February 26, 2013

New road projects imperils Critically Endangered cheetah subspecies

Mother Asiatic cheetah with three cubs, an extreme rarity. Photo by: ICS/DoE/CACP/Panthera.
Mother Asiatic cheetah with three cubs, an extreme rarity. Photo by: ICS/DoE/CACP/Panthera.

Cheetahs (Acinonyx jubatus) are unique among large cats. They have a highly specialized body, a mild temperament, and are the fastest living animals on land. Acinonyx jubatus venaticus, the Asiatic subspecies, is unique among cheetahs and the only member of five currently living subspecies to occur outside of Africa. Listed as Critically Endangered on the IUCN Red List—with a population of between 70 and 100 individuals—the Asiatic cheetah is one of the rarest felines on the planet. But new proposed road through one of its last habitat strongholds may threaten the cat even further.

The Asiatic cheetah’s historic range encompassed much of central-southern Asia; the current remaining population has been relegated to the desert region of central Iran. Instead of roaming savannahs and prairies, Asiatic cheetahs inhabit steppe and semi-desert areas. This change in habitat brought about changes in life history traits as well, most notably in diet. Unlike the typical smorgasbord of grassland ungulates on the plains of Africa, Asiatic cheetahs have an altered menu consisting of wild sheep, wild goats, ibex, hares, and Jebeer gazelles.

Though its African cousin has been studied in-depth, little is known about the ecology of the Asiatic cheetah. The current population of less than 100 animals is a drastic decrease from the estimated 200-300 animals in the late 1970s. The remaining animals are mostly confined to protected habitats in wildlife refuges and sanctuaries. Some skeptics claim that they are as good as extinct, while optimists believe that these unique animals have a fair chance of survival.

Mother Asiatic cheetah. Photo by: ICS/DoE/CACP/Panthera.
Mother Asiatic cheetah. Photo by: ICS/DoE/CACP/Panthera.

In Iran, threats to the cheetah population include desertification, human-induced modification of their habitat, agricultural pressure, poaching, and, most critically, a declining prey base. With less available prey and less suitable habitat, Asiatic cheetahs are in serious trouble; construction of a new road will further compound the problem.

The Bafq Protected area, a 250,000 hectare preserve in the eastern Yazd province, is an important habitat sanctuary for Asiatic cheetahs. Unfortunately for cheetahs, this habitat gem is under threat. Government officials have proclaimed that since few cheetahs reside in Bafq, they do not warrant special protection and the area is not an area of high environmental priority. Estimates on the number of individuals inhabiting the preserve vary, but it is generally accepted that Bafq boasts the highest density of cheetahs anywhere in the country.

The aim of the road is to shorten the distance between two villages and the main city, which lies on the other side of the mountains. The proposed road cuts through an expanse of the preserve where cheetahs are known to frequent as well as breeding populations of endangered Persian leopards (Panthera pardus ciscaucasica), caracals (Caracal caracal), and the Near Threatened Pallas’s cat (Otocolobus manul). Opponents of the road argue that its construction is not a significant benefit as it would pass through a steep, rugged area; fuel costs to traverse it would be great, and, all in all, the route is not much shorter than the current one.

Cheetahs roam expansive distances in search of prey, so encountering a road is inevitable, even in a protected area. Between 2005 and 2011, 40% of known, human-induced cheetah deaths in Iran were caused by vehicle collisions.

Local conservation groups including the Iranian Cheetah Society (ICS) and the Conservation of Asiatic Cheetah Project are in arrears with developers (CACP). The proposed project has attracted a plethora of media attention and local communities and authorities are in the crux of negotiations. Local conservationists are attempting to work with proponents of the road to come up with alternative solutions. Mohammed Farhadinia of the ICS tells Mongabay that an additional challenge for conservation organizations is to procure the resources and local support to enact these alternatives.

In 2001, in partnership with international conservation groups, Iran’s government initiated a new program to protect Asiatic cheetahs from extinction. The number of game guards in the park was doubled with an emphasis on providing increased protection to the areas of greatest cheetah activity. Educational programs were implemented in surrounding communities, and as a result, human-caused cheetah mortality decreased from 2 individuals per year to less than 1 per year in some areas.

The construction of a road through Bafq not only introduces a direct risk to cheetahs by increasing the probability of cheetah-vehicle collisions, but also increases accessibility to poachers, and reduces habitat connectivity and could isolate breeding individuals. This is of particular concern since the Bafq Preserve houses both the greatest density of cheetahs in the region and is a critical source of dispersing individuals.

Farhadinia tells mongabay.com that the proposed road is set to be constructed through an area of high habitat quality, so, “less suitable habitats will be available for cheetahs to roam.” This could alter spatial occurrence of cheetahs and may reduce numbers as well as occupancy.

Cheetah mother and cub hunted by Bedouin in 1925 in Iraq. Asiatic cheetahs are now extinct in Iraq.
Cheetah mother and cub hunted by Bedouin in 1925 in Iraq. Asiatic cheetahs are now extinct in Iraq.

African cheetahs suffer from low genetic diversity as a result of a population bottleneck after the last Ice Age. With too few animals breeding and contributing to the gene pool, the species is no longer genetically robust. Evolutionarily, Asiatic cheetahs separated from their African cousins around 30-60,000 years ago. While Asiatic cheetahs did not experience the population bottleneck that African cheetahs did, their population is small, which means that there is relatively low genetic mixing and animals are closely related to one another, so limited genetic diversity remains a pressing concern. With fewer than 100 individuals in the population, conservation is critical to ensure the survival of this subspecies.

Cheetah conservation in Asia has strong supporters. Conservationists are working not only to protect the current population but also to re-introduce animals to their native range throughout the region.

There has been contention as to how genetically similar African and Asiatic cheetahs truly are and whether African cheetahs can be used in re-introduction programs in Asia. Dr. Pamela Burger, a researcher at the University of Veterinary Medicine in Vienna, has conducted studies to delve into the DNA and recent analysis has confirmed that the subspecies are quite different from each other.

“The implications of our discovery are that the confirmation of the subspecies is a basis for future conservation management,” she says. Protecting Iranian cheetahs will conserve the gene pool and preserve the biodiversity for future re-introduction programs. Local conservationists are hopeful that this new-found information will garner additional support for conserving Asiatic cheetahs.

Alireza Jourabchain, the Director of the CACAP, is optimistic about Asiatic cheetah conservation in the region thus far, but admits that much is to be done.

“We have been successful in stabilizing numbers in Iran but we still have a long way to go before we can consider this unique subspecies secure.”

Jangal was the oldest ever known Asiatic cheetah in Iran. Jangal was first photographed with camera traps in 2001 (the picture between his legs) and was roaming for ten years until 2011 when he was found dead. Experts estimate that he lived at least 12 to 14 years in eastern country. Photo by: ICS/DoE/CACP/Panthera.
Jangal was the oldest ever known Asiatic cheetah in Iran. Jangal was first photographed with camera traps in 2001 (the picture between his legs) and was roaming for ten years until 2011 when he was found dead. Experts estimate that he lived at least 12 to 14 years in eastern country. Photo by: ICS/DoE/CACP/Panthera.

Read more athttp://news.mongabay.com/2013/0226-santana-iranian-cheetahs.html#jYm2ESX9PUXOwO99.99

 


Relazione di attività 2012 del Cheetah Conservation Fund

Dr. Laurie Marker, Otjiwarongo

Anche se il Cheetah Conservation Fund offre un rifugio a 46 ghepardi in cattività, la nostra organizzazione lavora per la conservazione dei ghepardi in libertà. Detto questo, quando un ghepardo resta orfano prematuramente, spesso non esistono alternative alla cattività. Questi ghepardi non sarebbero in grado di badare a se stessi e di imparare le abilità necessarie ad un ghepardo selvatico per sopravvivere. Tuttavia, alcuni ghepardi del CCF hanno avuto modo di vivere liberi, in modo tale da potere, un giorno, ritornare in libertà.

La ricerca per il rilascio dei ghepardi in libertà è iniziata nel 2004, puntando sulla massimizzazione delle loro potenzialità, e da allora abbiamo reintrodotto con successo un certo numero di ghepardi grazie a questo programma. Il rilascio di 5 ghepardi del CCF e di due femmine, rispettivamente nel 2008 e nel 2009, rilasciati nella Riserva Naturale del NamibRand, ha visto liberare in natura ghepardi in un’aerea dove da 60 anni i ghepardi erano completamente assenti. Una femmina e tre maschi, rilasciati nella Erindi Game Reserve rispettivamente nel gennaio 2011 e lo scorso anno, stanno bene, e si sono ambientati nella zona. Nel Centro, noi continuiamo ad applicare le nostre strategie di preparazione, e attualmente abbiamo una femmina che attende di essere collocata in un territorio adatto alla sua liberazione in natura.

Parallelamente ai nostri corsi di formazione internazionali, la nostra ricerca per la reintroduzione in natura costituisce la chiave di volta per la conservazione dei ghepardi selvatici, in quanto è in grado di dare assistenza a quei paesi in cui le popolazioni di ghepardi stanno decrescendo, se non sono del tutto scomparse. Quest’anno, sono stata invitata a partecipare ad una rapida indagine sul campo in Uzbekistan, dove il ghepardo è stato dichiarato estinto fin dagli anni ’70, e dove attualmente si ritiene possa essere reintrodotto.

Altrove, il nostro lavoro a livello internazionale nei paesi con terrotori di ghepardi è continuato, concretizzandosi nella nostra presenza durante le riunioni del West, North and Central African Cheetah and Wild Dog Strategic Planning, nelle riunioni del Niger National Cheetah Planning, e nella visita alla Born Free Foundation in Etiopia, dove sono state discusse le strategie per il ghepardo, compresa la questione preoccupante del traffico illecito di flora e fauna selvatica. Questa visita ci ha offerto un’ottima opportunità di ritrovare la nostra collaboratrice di un progetto sul campo, Mary Wykstra, Direttore di Action for Cheetahs in Kenya.

La Fattoria Modello del CCF (Model Farm) ha visto tante nascite di Pastori dell’Anatolia, Kangal e caprette in questo periodo, compresa la prima cucciolata di Kangal che diventeranno i nostri alleati nello sforzo di prevenzione dei conflitti con i predatori che i farmer devono affrontare. Oltre ai nostri cani da guardia Kangal, gli sforzi del CCF per creare fonti di reddito per la popolazione della Namibia hanno visto la seconda vendemmia di uva che potrebbe concretizzarsi in una nuova industria per la Namibia. Abbiamo avuto anche la fortuna di poterci avvalere dell’assistenza di un gruppo di professori della Cornell University che hanno lavorato con noi sulla progettazione del caseificio di latte di capra e sulla nutrizione a base di capra.

La costruzione del Caseificio di prodotti caprini è stata quasi ultimata (inaugurata ai primi di marzo). Si tratta di un eccellente esempio di quanto il modello di lavoro di conservazione, basato sullla collaborazione in seno alla comunità possa fornire agli allevatori rurali ed emarginati migliori opportunità di crescita economica.

L’équipe della Cornell si è unita a noi anche durante una riunione del GWC (Greater Waterberg Complex), un gruppo di guardiani, manager e proprietari che condividono la visione comune di una gestione e di uno sviluppo a lungo termine dell’aerea che copre circa 1 milione e 770mila ettari che circondano il Parco dell’Altopiano del Waterberg e che include i territori comunali dell’est e il CCF. Abbiamo condotto, nel mese di dicembre scorso, un’indagine di valutazione del fabbisogno di quest’aerea, e stiamo preparando una poderosa relazione da presentare alla NamPlace, il programma dell’UNDP (United Nations Development Program) che sostiene il GWC.

Questo genere di collaborazione è importante, e nello scorso giugno, l’iniziativa di istruzione e ricerca cooperativa si è concretizzata nella sottoscrizione di una Memoria d’Intesa tra il CCF, il Museo Nazionale di Namibia, la State University of New York College of Environmental Science and Forestry (USA), e gli Istituti Jacob Blaustein for Desert Research, Università Ben Gurion del Negev (Israele). Il CCF collaborerà con questi partner per sviluppare la cooperazione nell’ambito dell’istruzione ambientale e di ricerca degli ecosistemi desertici.

Noi, da parte nostra, abbiamo continuato a lavorare sul miglioramento del nostro progetto del CCF, il Bushblok, assumendo un laureando in ingegneria che vigila sull’ottimizzazione della produzione casearia e della salute e della sicurezza sul lavoro. Far fronte alla domanda costituisce ancora una grande sfida. Inoltre, una borsa di studio recente ci permetterà l’acquisto e la sperimentazione di nuovi macchinari per la raccolta dei rovi invasivi. La biomassa è stata discussa durante svariate conferenze a cui abbiamo partecipato quest’anno, compresa la riunione invernale della Clinton Global Initiative, laddove il dr. Bruce Brewer ed io ci siamo impegnati ad ampliare la biomassa di rovi invasivi per renderla fonte di energia che sia in grado di restaurare milioni di acri di terra soffocata dai rovi in terra produttiva, sia come terra agricola che terra per l’habitat naturale – creando i posti di lavoro cosi’ necessari.

La flora e la fauna africane attrirano in Namibia milioni di visitatori ogni anno, e la Namibia possiede alcune popolazioni di flora e fauna selvatiche tra le piu’ sane del Continente. Il Namibian Tourist Board si è attivato molto in questo senso per promuovere il turismo in Namibia, e mi ha invitata a partecipare a svariate mostre ed eventi sul turismo. Noi abbiamo inserito tali eventi durante il mio giro primaverile di raccolta fondi.

I miei tour primaverili ed autunnali hanno compreso tre nazioni, 18 stati e 35 città. Anche se mi obbligano a lasciare la Namibia per lungo tempo, essi mi offrono l’opportunità unica di incontrare i sostenitori vecchi e nuovi, e di raccogliere i fondi che sono cosi’ necessari. Quest’anno, ho avuto il privilegio di tenere, per la prima volta, una lezione alla Purdue University, e di intervenire al Dartmouth College nell’ambito della serie di lezioni della George Link Jr. Environmental Lecture Series, indette dall’Environmental Studies Program. Ho anche tenuto una conferenza, per la prima volta, presso l’Università di Ottawa (Canada), e ho avuto il privilegio di incontrare i parlamentari canadesi della Città di Ottawa. Subito dopo, ho tenuto una conferenza presso l’Intergruppo per il Benessere e la Conservazione Animale del Parlamento Europeo a Strasburgo. Dire grazie non è sufficiente per esprimere l’importanza dell’intenso lavoro fatto dal personale del CCF e dai vari sostenitori e associati che hanno resi possibili i miei incontri.

Il 2013 non sarà diverso dal 2012, tranne che per la crescente sensazione di urgenza. Il ghepardo non ha molto tempo, senza il vostro aiuto – il vostro e il nostro. Il tempo sta per scadere, se vogliamo essere certi che questo magnifico animale continui a vivere ed a prosperare….o scomparirà per sempre. Dobbiamo continuare ad operare senza sosta in Namibia e nel mondo. Sappiamo che abbiamo programmi che funzionano; abbiamo la prova di collaborazioni proficue con attori che hanno fatto del bene al ghepardo in Namibia. Infatti, una commissione della National Geographic Big Cat initative (BCI) ci ha visitato in luglio e ha concluso che l’approccio integrato del CCF alla flora e alla fauna selvatiche, al bestiame ed alla gestione dei territori costituisce un area di enorme importanza dove il CCF puo’ dare un contributo fattivo per il futuro del ghepardo e del resto dell’habitat naturale.

Tutto cio’ di cui abbiamo bisogno, è di ampliare i nostri programmi in Namibia ed in altri paesi, e non possiamo farlo da soli.

Per tutto cio’, vi ringrazio di cuore.

Laurie Marker, Dphil.

Founder and Executive Director


La Corsa del Ghepardo contro l’Estinzione – Conferenza a Mestre, Venezia

A Mestre (VE) venerdì 8 marzo 2013 alle 20.45 all’Hotel Plaza presso la Sala Piave in viale Stazione 36

“La corsa del Ghepardo contro l’estinzione. La lotta antibracconaggio in Africa” è il titolo della conferenza in programma venerdì 8 marzo 2013, alle ore 20.45, presso la Sala Piave dell’Hotel Plaza in viale Stazione n. 36 a Mestre (VE). La serata è organizzata dall’europarlamentare dell’Italia dei Valori Andrea Zanoni del gruppo ALDE (Alleanza dei Liberali e Democratici Europei), membro della Commissione ENVI Ambiente, Salute Pubblica e Sicurezza Alimentare e vice Presidente dell’Intergruppo per il Benessere degli Animali al Parlamento europeo.

I relatori della conferenza, oltre all’europarlamentare Andrea Zanoni, saranno  Elisabetta Von Hoenning O’Carrol, responsabile italiana del Cheetah Conservation Fund (CCF) e Gianni Bauce, guida professionista accreditata presso Field Guides Association of Southern Africa e THETA, oltre che autore di libri sull’Africa. Durante la serata sarà proiettato un filmato del CCF e, alla fine degli interventi, seguirà il dibattito pubblico. L’incontro si concluderà con un buffet vegetariano.

«La Commissione europea ha destinato un contributo di quasi due milioni di euro all’organo di polizia internazionale INTERPOL, per sostenere la lotta ai reati contro le specie selvatiche e proteggere le risorse naturali mondiali dal commercio internazionale illegale di flora e fauna selvatiche – ha spiegato Zanoni – Questo finanziamento aiuterà ad arginare una piaga che colpisce soprattutto l’Africa. Le stragi di rinoceronti ed elefanti per ottenere corna dal presunto potere afrodisiaco ed avorio sono all’ordine del giorno. Mi auguro che l’Europa possa mettere a disposizione cifre più sostanziose ma che soprattutto invii degli ispettori nei luoghi incriminati, per vedere quello che sta accadendo e per capire come intervenire in modo efficace».

Al termine della conferenza si terrà un rinfresco offerto con tanto di mimose per tutte le donne presenti vista la ricorrenza dell’8 marzo. “Proprio le donne sono tra le più colpite dalla crisi economica in termini di disoccupazione e discriminazioni sul posto di lavoro. E’ dalle donne che bisogna rilanciare la crescita dell’Europa”, conclude Zanoni.

Ufficio Stampa On. Andrea Zanoni

Email info@andreazanoni.it

Tel (Bruxelles) +32 (0)2 284 56 04

Tel (Italia) +39 0422 59 11 19

Blog www.andreazanoni.it

Twitter Andrea_Zanoni

Facebook Andrea Zanoni

Youtube AndreaZanoniTV


A Mestre il prossimo incontro con il Cheetah Conservation Fund!

VOLANTINO conferenza 8.3.2013


Laurie Marker: Qualche anticipazione sulla prossima riunione della CITES. I ghepardi all’ordine del giorno.

Come bloccare il commercio illegale di ghepardi Posted: 03/01/2013 1:26 pm

Read more

Wildlife Conservation Cites Domesticating Cheetahs Illegal Pets Illegal Wildlife TradeIllegal Wildlife Trafficking Pet Cheetahs Impact News

 

Tutti amano i ghepardi. Sono predatori eleganti, bellissimi, pieni di grazia. La gente resta affascinata da questi animali, per cui a volte alcuni desiderano possederne uno. Per migliaia di anni, imperatori, re, faraoni hanno tenuto  i ghepardi presso di loro, come animali da compagnia. Si dice che Achbar, che regnava nel 16.secolo in India, abbia posseduto nel corso del suo regno di 49 anni, piu’ di 9000 ghepardi a Corte.

Le cose spesso non cambiano. Oggi, su giornali o su Facebook, o sui video di YouTube, vediamo spesso un ricco erede o un potente magnate che posa con un ghepardo al suo fianco, magari seduto accanto a lui nella sua auto di lusso. Altre immagini ci mostrano proprietari di ghepardi che orgogliosamente vanno a caccia nel deserto con il proprio ghepardo domestico. Per loro, possedere un ghepardo corrisponde ad uno status symbol – proprio come ai tempi di Achbar.

Molti proprietari di ghepardi credono che il proprio ghepardo si sia riprodotto in cattività, e che sia stato venduto legalmente. Tuttavia, non è vero nella maggior parte dei casi. I ghepardi difficilmente si riproducono con successo in cattività, e la domanda di ghepardi supera ampiamente l’offerta di chi li fa riprodurre. E’ in aumento la tendenza a fornire ghepardi cuccioli ottenendoli dal commercio illecito di coloro che sottraggono i cuccioli allo stato brado, spesso uccidendone la madre.

Mi chiedo come reagirebbero i proprietari di un cucciolo, che evidentemente amano i ghepardi, se sapessero con quanta crudeltà essi ottengono il loro cuccioli. I contrabbandieri non alimentano i cuccioli, nè danno loro acqua, nè li fanno viaggiare in maniera adeguata mentre li trasportano verso i mercati illegali di animali da compagnia.In alcuni paesi africani, dove vengono catturati i cuccioli di ghepardo, la popolazione di ghepardi è molto ridotta, cosicchè la perdita di un solo animale puo’ essere devastante. Lo scorso anno, il Pianeta ha perso 104 ghepardi solo nel commercio illegale di animali, e questi costituiscono solo quelli denunciati al  Cheetah Conservation Fund (CCF).

Abbiamo avviato il monitoraggio del traffico illecito  di ghepardi nel 2005, quando abbiamo ricevuto una chiamata frenetica da un ufficiale della  Marina degli Stati Uniti che ci chiedeva di aiutarlo a salvare due cuccioli di ghepardo legati ad una corda fuori da un ristorante in Ethiopia. I cuccioli venivano fatti combattere l’uno contro l’altro per una manciata di spiccioli. Immediatamente ci siamo messi al lavoro, contattando tutti coloro che fossero in grado di aiutarci, e successivamente, i due cuccioli furono trasportati in aereo ad Addis Abeba, la capitale, dove ricevettero le cure dei veterinari. Un cucciolo aveva perduto un occhio, ed entrambi erano molto malnutriti. Morirono entrambi, dopo poco. Si chiamavano Scout e Patch, e le loro brevi vite non sono state sacrificate invano, poichè l’attenzione internazionale si concentrò sul caso di questi due ghepardi cuccioli. e per noi fu possibile avviare le azioni atte a combattere questo reato devastante contro la conservazione.

Da allora, siamo riusciti ad agevolare sempre piu’ i sequestri registrando puntualmente i casi che ci venivano denunciati. Siamo stati tra i membri fondatori della  Coalition Against Wildlife Trafficking, e tramite le reti di alleanze siamo stati in grado di fornire dati preziosi che ci hanno dato la possibilità di far includere il traffico illecito di ghepardi, per la prima volta, nell’ordine del giorno della prossima riunione della  CITES Conference of the Parties 16 di Bangkok, Tailanda, che avrà luogo questo mese.

Il documento presentato dalle   CITES Parties di Kenya, Uganda ed Etiopia, chiedono la consultazione ad ampio raggio per uno studio dettagliato autorizzato dalla  CITES, sul traffico illecito de lecito di ghepardi, e per l’assistenza in tutti i territori di ghepardi. Questo documento costituisce la prima dichiarazione in seno ad un Foro internazionale sul grave problema del traffico ilegale di ghepardi. I risultati cruciali di questo studio potranno costituire una base concreta per definire le misure pratiche per affrontare il problema.

Il traffico di flora e fauna selvatica ha richiamato grande attenzione negli ultimi mesi. Sono sconvolta, come tutti del resto, dalle immagini che sono state rese note ultimamente sugli inutili  massacri di massa recenti di animali selvatici. Recenti azioni degli   U.S.A. e di altri governi per richiamare l’attenzione su tali fatti sono motivo di speranza. Il divieto di  importare ghepardi  per usi personali e commerciali da parte degli Emirati Arabi Uniti costituisce un primo, eccellente passo che dovrà essere seguito da altre nazioni. Noi speriamo che ponendo il problema dei ghepardi all’ordine del giorno della CITES, il mondo sarà richiamato a considerare il commercio illegale di animali come parte del problema piu’ ampio degli animali e delle piante selvatiche, che ha conseguenze devastanti sui ghepardi, se verrà tralasciato. Noi speriamo che creando sensibilizzazione e un migliore controllo, il futuro del ghepardo, che è già cosi’ incerto, potrà fare intravvedere qualche speranza.

Segui la  Dr. Laurie Marker su Twitter: www.twitter.com/chewbaaka